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Violenza di genere: quando ossessione, violenza e possesso prendono le sembianze dell’amore
La violenza di genere è un fenomeno di forte rilevanza sociale e culturale, che dovrebbe essere nell’ agenda di tutte le agenzie, pubbliche e private, che a diverso titolo si occupano del benessere e della tutela della Persona.
Per comprendere tale “emergenza” basta prendere atto che su scala mondiale la violenza degli uomini sulle donne risulta essere una delle cause principali di morte femminile in riferimento alla fascia d’età cha va dai 15 ai 40 anni (WHO, 2013).
In Italia, ogni tre giorni, una donna viene uccisa dalla violenza maschile. Da gennaio 2015, stando ai dati di Telefono Rosa, almeno 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking, ed “è solo la punta dell’iceberg, visto che il 90% delle donne non denuncia” (www.ansa.it). I dati ISTAT, aggiornati al giugno 2015, evidenziano che 6 milioni 788 mila donne, nell’arco della propria vita, sono state vittime di una violenza fisica o sessuale, ovvero “il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Ben il “62,7% degli stupri è commesso dal partner attuale o da quello precedente” (www.istat.it).
Andando a definire meglio il fenomeno, per violenza di genere si intende “qualsiasi atto di violenza contro le donne che comporta, o che è probabile comporti, una sofferenza fisica, psichica e sessuale o una qualsiasi forma di sofferenza della donna, comprese le minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme di arbitraria privazione di libertà personale sia in ambito privato che pubblico” (Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite, Vienna, 1993)
Contrariamente a quanto si può immaginare, nella maggior parte dei casi la violenza di genere si consuma tra le mura domestiche. La violenza domestica, appunto, si definisce come qualsiasi forma di violenza agita e subita tra persone che intrattengono, o hanno intrattenuto, relazioni intime di coppia, piuttosto che tra persone che appartengono allo stesso nucleo familiare (WHO, 1996).
Nella definizione di violenza di genere il concetto di violenza è da accostarsi a quello di asimmetria. Nello specifico, molti studi leggono il fenomeno attraverso una chiave socio-culturale, che vede nell’asimmetria dei generi, il primato del maschile sul femminile, la chiave di lettura principale. La stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu, in riferimento alla violenza contro le donne, parla di “uno dei meccanismi sociali cruciali, per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini” (www.repubblica.it).
La violenza di genere, anche nella forma estrema del femminicidio, pertanto, è radicata in un’ideologia sessista, un’ideologia spesso taciuta, “sotterranea”, ma che caratterizza, ancora oggi, la società occidentale odierna.
Il sessismo è l’atteggiamento di chi tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del genere femminile, rispetto a quello maschile, e la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne. Il sessismo si basa sull’idea che gli uomini e le donne siano profondamente diversi, poiché si ritiene che i primi siano caratterizzati da una certa superiorità, sul piano fisico, morale, psicologico e intellettivo. Gli studiosi Glick e Fiske, attraverso il concetto di “sessismo ambivalente” (ovvero “ostile” e “benevolo”), propongono che anche gli atteggiamenti “paternalistici”, tesi a tutelare le donne, potenzialmente, possano nascondere la stessa radice discriminatoria ai danni della donna, in quanto appartenente ad un genere inferiore, più debole. Ai suoi estremi, quando il sessismo è fortemente radicato a livello individuale, relazionale e culturale, la donna è percepita come un oggetto da controllare, gestire e possedere.
È in tale ottica che possono essere maggiormente comprese le dinamiche di violenza di coppia, in cui a ripetersi è sempre lo stesso copione: la donna è succube e vittima di violenze ripetute nel tempo, perpetrate dagli uomini a cui è più legata affettivamente: dal compagno, dal fidanzato e, nei casi peggiori, dal padre o dai fratelli.
All’interno di queste relazioni, connotate dallo schema relazionale “vittima-carnefice”, troppo spesso, la donna non riesce a ribellarsi poiché si attribuisce la colpa della violenza subita. Frequentemente la violenza è percepita come “giustificata” da entrambi i membri della coppia. Da questa impossibilità ad erigersi quale soggetto di diritto, indipendente e autodeterminato, le vittime tendono a cronicizzarsi verso una condizione centrata sul silenzio, in cui la negazione dell’accaduto sembra l’unica soluzione attuabile. Tutto ciò è ancor più veritiero in relazione al clima culturale, agli stereotipi di genere socialmente condivisi in cui le specifiche vicende umane sono inserite.
Da una ricerca condotta in Italia, nel 2016, su 1.300 partecipanti maggiorenni, è emerso che per il 20% degli uomini e per il 18% delle donne ci possono essere circostanze che giustificano la violenza dell’uomo sulla donna. Tra le “giustificazioni” sostenute da entrambi i generi emergono: lo stato di nervosismo dell’uomo per questioni esterne alla coppia, la gelosia dell’uomo verso la propria compagna, l’atteggiamento provocante della donna e la sua “incapacità” ad essere una buona madre e moglie (www.termometropolitico.it).
Secondo la Prof.ssa Merzagora, criminologa presso la sezione di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Milano, l’uomo che agisce violenza contro la sua compagna usa delle “scuse” che giustificherebbero i maltrattamenti e le aggressioni (www.panorama.it). Queste scuse, dalla docente, sono definite “tecniche di neutralizzazione”, tecniche cognitive che precedono l’atto deviante e che servono ad escludere la propria responsabilità e, soprattutto, a negare la gravità del gesto. Tra queste tecniche si osservano “lo spostamento della responsabilità” sulla stessa vittima, o su cause esterne quali l’alcol, “il ridimensionamento della violenza agita”, oltre al “richiamo a ideali più alti”, come la fedeltà e il sacrificio per la famiglia.
Tutte queste dinamiche rendono difficile, per entrambi i poli della coppia, spezzare il circolo della violenza ed entrare in contatto con il proprio disagio. Il primo passo per affrontare il problema, invece, non può che essere il riconoscimento della propria sofferenza, dunque la mobilitazione verso la cura di sé stessi.
Come procedere
Se senti di avere necessità di una Consulenza in ambito Individuale, piuttosto che di Coppia o Familiare, puoi fissare un appuntamento contattando i numeri 06 92599639 o 388 8242645, o puoi scrivere all’indirizzo e-mail info@massimocanu.it
In caso di impossibilità a poter raggiungere lo Studio, in Roma, potrai fare altrettanta richiesta per una prestazione On-Line, avvalendoti della piattaforma web appositamente realizzata. E’ intuitiva, rapida e sicura.
A conclusione di tale fase consulenziale, sia in Presenza che On-Line, sarà definito quanto emerso nel corso del lavoro e, eventualmente, saranno focalizzati gli obiettivi per l’avvio di una Psicoterapia, la quale potrà essere Individuale, di Coppia o Familiare.
Chiedere aiuto è un segno di forza e, soddisfare i tuoi bisogni psicologici, equivale a compiere il più importante atto d’amore che possa fare verso la tua persona, ancor prima che per coloro che condividono la loro vita con te.