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Violenza domestica e femminicidio

I recenti fatti di cronaca avvenuti in Italia portano a riflettere, ancora una volta, sul tragico tema del femminicidio, fenomeno che ogni anno, nel mondo, tra donne e bambine, conta circa 66.000 vittime; questi rappresentano circa un quinto degli omicidi commessi su scala globale. Il termine femminicidio, coniato nel 1992 dalla Criminologa statunitense D. Russel, indica una forma di violenza perpetrata ai danni delle donne “proprio in quanto donne, ovvero legata alla loro identità di genere” (www.cifpadova.it).

L’ultimo drammatico episodio, avvenuto a Palma Campania (Na) il 15 giugno scorso, ha visto uno stimato ortopedico di 59 anni uccidere la moglie con un colpo di pistola alla testa, per poi gettarsi dal terzo piano (www.ilmessaggero.it). Sconcerto e commozione hanno suscitato, inoltre, il barbaro assassinio di Sara Pietrantonio, la studentessa romana di 22 anni strangolata e data alle fiamme dall’ex fidanzato, come pure il duplice omicidio avvenuto a Taranto il 9 giugno, che ha visto un professionista di 50 anni uccidere la moglie trentenne e il figlioletto di 4 anni per poi, a sua volta, togliersi la vita (www.iltempo.it).

Omicidi efferati, le cui protagoniste sono donne punite per aver avuto la forza e il coraggio di lasciare l’uomo che le maltrattava, vittime di violenze fisiche e psicologiche reiterate, alimentate da retaggi culturali che inneggiano alla supremazia del maschio e minano il principio di uguaglianza, il rispetto reciproco e il diritto all’autodeterminazione. La stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu, parla della violenza contro le donne come di “uno dei meccanismi sociali cruciali, per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini” (www.repubblica.it).

In molti casi il femminicidio è l’atto culminante e irreversibile di una lunga serie di episodi di violenza, la quale non si limita esclusivamente ad “azioni fisicamente lesive”, ma può includere azioni coercitive, abusi sessuali, deprivazioni economiche, vessazioni psicologiche, “forme di intimidazioni e controllo” (https://www.massimocanu.it/unioni-civili-listituzionalizzazione-delle-coppie-omosessuali/). In Italia, ogni tre giorni, una donna viene uccisa dalla violenza maschile. Da gennaio 2015, stando ai dati di Telefono Rosa, almeno 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking, “ed è solo la punta dell’iceberg, visto che il 90% delle donne non denuncia” (www.ansa.it). I dati ISTAT, aggiornati al giugno 2015, evidenziano che 6 milioni 788 mila donne, nell’arco della propria vita, sono state vittime di una violenza fisica o sessuale, ovvero “il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Ben il “62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente” (www.istat.it).

La percentuale più alta di tale forma di violenza si registra al Nord: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Va precisato che, sebbene tali crimini si verifichino in contesti molto diversi tra loro, sono accomunati dalle stesse dinamiche. Si tratta, infatti, di un fenomeno trasversale a tutte le classi sociali, difficilmente causato da una perdita di controllo improvvisa e, quasi sempre, preceduto da anni di maltrattamenti, da parte di uomini che, inizialmente amorevoli, finiscono per mortificare la propria donna nella sua autostima, isolandola da altri contesti relazionali, picchiandola, insultandola e vincolandola in una continua alternanza di minacce e richieste di perdono (www.cifpadova.it).

Tutto ciò, inevitabilmente, ricade sui figli, vittime impotenti della violenza domestica e, in quanto tali, a rischio di ripetere le stesse dinamiche della coppia genitoriale. Infatti, se un bambino o una bambina assistono a episodi di violenza sistematica, da parte di un genitore verso un altro componente della famiglia, o se subiscono violenza in prima persona, è più facile che, da adulti, ricorrano loro stessi alla violenza, soprattutto in condizioni di stress (www.stateofmind.it).

Ciò perché lo stile di attaccamento con la figura primaria (caregiver di riferimento), inteso come propensione innata a ricercare la vicinanza di una persona specifica e insostituibile, non solo viene conservato in età adulta, ma condiziona i legami di coppia e le relazioni genitori-figli. Nell’esaminare il rischio di violenza nella relazione, la letteratura fornisce diversi esempi sull’importanza di comprendere e indagare l’impatto dello stile di attaccamento di un partner, combinato con lo stile di attaccamento dell’altro (www.voxdiritti.it).

In particolare, l’associazione tra un partner maschile con uno stile di attaccamento evitante e un partner femminile con uno stile di attaccamento ansioso, si è dimostrata un forte fattore di rischio per il manifestarsi di forme di violenza domestica. Sembra, infatti, che le persone ansiose possano essere più disposte a tollerare abusi fisici e psicologici da parte del partner, oltre che a rimanere in relazioni violente, a causa della loro tendenza a giustificare l’abuso da parte di un partner idealizzato. Proprio la tendenza a idealizzare il partner può portarle a crearsi aspettative irrealistiche riguardanti la capacità del proprio partner di cambiare.

Quanto ai soggetti abusanti, invece, sembra presentino un attaccamento ansioso-ambivalente rispetto al partner. Ciò innescherebbe la loro intensa paura di perdere la persona amata, paura alla quale rispondere con il ricorso a comportamenti aggressivi e brutali, al fine di esercitare il controllo sul partner ed impedire l’abbandono della relazione. Per arginare gli episodi di violenza contro le donne e i casi di femminicidio, il Ministero per le Pari Opportunità ha annunciato l’istituzione di un’unità operativa di pronto intervento e lo stanziamento di 12 milioni di euro, al fine di attuare un piano anti-violenza. Va considerato, però, che per quanto necessarie e importanti, le sole leggi non sono né possono essere sufficienti ad arginare il dilagare della violenza sulle donne e gli episodi di femminicidio. La vera sfida sta nell’educazione e nella formazione, nella sensibilizzazione delle giovani generazioni, così da superare i pregiudizi, le paure, gli stereotipi e le discriminazioni, rendendo le persone consapevoli delle proprie scelte e delle proprie azioni (www.gazzettadireggio.gelocal.it).

Da un punto di vista psicologico, invece, è fondamentale fornire alle donne gli strumenti per riconoscere anche il più piccolo segnale che possa far presagire atti di violenza, così da aiutarle ad acquisire la consapevolezza che il loro amore, da solo, non è in grado di cambiare un uomo violento, così come a comprendere che “nessun amore maledetto vale la vita; nessun legame familiare può costringere all’autodistruzione” (www.stateofmind.it). Se la donna va agevolata nel liberarsi dalla propria dipendenza affettiva, l’uomo violento va accompagnato nella conquista della consapevolezza del suo problema e nel recupero delle abilità di vita funzionali alla costruzione di relazioni equilibrate con gli altri.

Come procedere

Se senti di avere necessità di una Consulenza in ambito Individuale, piuttosto che di Coppia o Familiare, puoi fissare un appuntamento contattando i numeri 06 92599639 o 388 8242645, o puoi scrivere all’indirizzo e-mail info@massimocanu.it

In caso di impossibilità a poter raggiungere lo Studio, in Roma, potrai fare altrettanta richiesta per una prestazione On-Line, avvalendoti della piattaforma web appositamente realizzata. E’ intuitiva, rapida e sicura.

A conclusione di tale fase consulenziale, sia in Presenza che On-Line, sarà definito quanto emerso nel corso del lavoro e, eventualmente, saranno focalizzati gli obiettivi per l’avvio di una Psicoterapia, la quale potrà essere Individuale, di Coppia o Familiare.

Chiedere aiuto è un segno di forza e, soddisfare i tuoi bisogni psicologici, equivale a compiere il più importante atto d’amore che possa fare verso la tua persona, ancor prima che per coloro che condividono la loro vita con te.